Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP

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LA LENTICCHIA DI CASTELLUCCIO DI NORCIA (LA LENTA) NON SOLO UN LEGUME MA LA TRADIZIONE E LA CUTURA DI UN POPOLO.
Le varie fasi della lavorazione  della Lenticchia:

  1. L’aratura;
  2. la semina;
  3. la fioritura
  4. la carpitura;
  5. la ricacciatura;
  6. la trita (ora trebbiatura)
  7. lu cantile
  8. la scamatura
  9. la conciatura
  10. Il confezionamento e vendita

Famosa fin dai tempi dell’antica Roma, la lenticchia di Castelluccio di Norcia  viene coltivata nei piani carsici di Castelluccio all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini,  località di particolare bellezza naturalistica e paesaggistica, ad altitudini che arrivano fino a 1600 metri slm. Ricca di fibre alimentari, di ferro di proteine e sali minerali, dal sapore unico e inconfondibile la lenticchia di Castelluccio è unica nel suo aspetto policromo e per le sue dimensioni piuttosto ridotte. Da qualche anno, la zona di produzione ha ottenuto il riconoscimento Europeo di  Indicazione Geografica Protetta (IGP) per  tutelare e salvaguardare il prodotto.
L’aratura e la semina avvengono in primavera, dopo lo scioglimento del manto nevoso che ha ricoperto per tutto l’inverno i campi.             Da quel momento fino alla raccolta la lenticchia ha bisogno solo di pioggia. E’ tradizione di Castelluccio recarsi ogni anno a fine giugno in pellegrinaggio a Norcia nella chiesa di Santa Scolastica  ad invocare la Santa affinché  faccia  piovere sulla lenta.  Le tecniche di produzione della lenticchia sono le stesse che venivano adottate sin dai tempi antichi. Io personalmente ogni anno alla prima luna nuova di primavera semino a mano alcuni campi usando lo stesso lungo sacco di tela grezza e le stesse biffe ( le biffe sono dei bastoni che si mettono a distanza regolare le une dalle altre per segnalare la parte del campo seminato) che usava mio nonno. Dopo un mese e mezzo dalla semina si ha la fiorituradei campi della lenticchia, un esplosione di colori unica nel suo genere. Prima i campi si colorano di giallo, dopo qualche giorno mutano nel colore rosso dei papaveri e subito dopo al blu intenso dei ciclamini.
A fine luglio fino alla prima metà di agosto si procede alla carpitura.
Dato che la pianta della lenticchia e troppo bassa ( solo di rado supera i 30 centimetri) e molti campi sono sassosi, la carpitura richiede particolare attenzione e molto tempo. Nel passato questa operazione veniva fatta totalmente a mano, poi si è iniziato con la falce, poi si e passati all’uso delle falciatrici qualora il campo sia piano  e pulito dai sassi e la pianta della lenticchia abbastanza alta e non troppo secca. Fino alla  metà degli anni sessanta la carpitura veniva fatta dalle carpirine. (  paragonabili alle mondine del riso). Ogni anno all’ inizio della carpitura le carpirine salivano a piedi a Castelluccio dai paesi dell’Ascolano insieme ai mietitori.  Ogni gruppo era guidato da un suonatore d’organetto che suonando il suo strumento accompagnava il gruppo fin sulla  scalinata della piazzetta di Castelluccio ai piedi della Chiesa.  In questa piazzetta la mattina si contrattava la carpitura dei campi. La contrattazione avveniva a opere. L’opera era la quantità di terreno che una carpirina doveva carpire in una giornata. L’opera di carpitura corrisponde a circa 600 metri quadrati. Durante il lavoro le carpirine usavano cantare stornelli  di rimando tra loro. Spesso nei loro canti si poteva percepire un velo di tristezza a causa del duro lavoro e per la lontananza dalla famiglie. Alla fine della carpitura di ogni campo il capo gruppo metteva mano al suo organetto e lo suonava a tutto fiato in modo che le sue note arrivassero molto lontano. Il suono degli organetti era diverso uno dall’altro. Chi ascoltava le note sapeva che il suonatore era Gino o Fortunato o Flaviuccio, Capone o Scaccavella. Queste note avvisavano che il gruppo  aveva finito di carpire un campo e era libero da impegni, quindi disponibile ad iniziare un altro lavoro. Le carpirine  dormivano nei fienili, il padrone del campo che le assumeva  doveva  portargli il mangiare. Il lavoro di carpitura iniziava al sorgere del sole e terminava quando le campane della chiesa suonavano, dopo il tramonto del sole, l’Ave Maria.
Man mano che la lenticchia viene carpita o tagliata, si raccoglie in mucchietti sul campo. I mucchietti sono piccoli e  disposti in lunghe file parallele, distanti tra loro quel tanto che basta per farci passare un trattore con il suo carrello.
Fatti i mucchietti sul campo si lasciano per alcuni giorni ad essiccare.  Per la lenticchia questo è il momento più delicato. Una pioggia abbondante potrebbe compromettere il raccolto.
Quando la lenticchia e sufficientemente secca si carica con il trattore e si porta all’aia, una zona del Pian Grande vicino alla biforcazione per la strada che porta a Forca di Presta. Questa operazione si chiama “ricacciatura”.
All’aia vengono fatti dei grandi mucchi coperti con teli per proteggerli dalle piogge. Fino a quaranta anni fa a posto dei teli si usavano le coperte dei letti. Le aie viste da Castelluccio apparivano piene di colori.
Dopo alcuni giorni si procede alla “trita”. Si sparge un mucchio di paglia di lenticchia per la piazza dell’aia e con “ lu  mazzafrustu”, ( due robusti bastoni legati tra di loro con una corda) facendolo roteare sopra la testa si batte sulla paglia di lenticchia  finchè i semi  non escono dai loro  baccelli. Quanto la trita e particolarmente grande si utilizzano  cavalli e muli. Si legano in fila  gli uni  agli altri. Il cavallo più vecchio e lento si mette all’inizio quello più giovane e veloce si mette per ultimo. I Cavalli e i muli si fanno trottare in girotondo   sopra la paglia di lenticchia finché il seme non esce dai baccelli. Durante la trita si cantavano stornelli, il più ricorente era il seguente:
 “……All’aia all’aia che la trita e messa
Ognuno ci si porta la ragazza
Ognuno ci si porta la ragazza
Ad ogni mazzafrustata un bacio e una carezza……”
La fase successiva alla trita è la formazione del “cantile”.
Con delle forche larghe si solleva, sbattendola in continuazione, la paglia della lenticchia tritata e si mette da parte per essere pressata in balle e portata al fienile. Una volta raccolta tutta la paglia rimane sul terreno “ la cama”. ( la cama è l’insieme  della lenticchia e pula). Con delle scope di frasche di faggio la cama viene raccolta e se ne fa un mucchio. Il mucchio della cama si chiama “cantile”.
La fase successiva al cantile e la  “scamatura”.
Questa operazione ha bisogno del soffio del vento. Il soffio del vento  deve essere continuo ma non troppo forte. La scamatura si fa gettando la cama in aria controvento. Il vento con il suo soffio allontana la pula che è leggera e fa ricadere nel cantile il seme della lenticchia. Questa operazione abbisogna di una particolare abilità che si ottiene con anni ed anni di pratica. La scamatura è fatta  dalla persona più anziana ed esperta  del Clan.( Ho usato questo termine “Clan” perché  é usanza fare l’aia insieme agli altri parenti, anche di generazioni lontane. Questa riunione di famiglie fa si che  nell’ aia ci sia  abbondante presenza di uomini, sia per lavorare,  sia per  difendere l’aia dai pericoli, quali il fuoco.)  Finita la scamatura quello che resta nel cantile e la lenticchia, il premio di una lunga stagione di lavoro. A questo punto, per soddisfare la curiosità di tutti si può, con assoluta precisione, stabilire la resa in quintali del campo. Si infila il manico della pala nel cantile e si segna l’altezza, a questo punto lo scamatore con il palmo della mano e con le dita misura  l’altezza  del cantile: il primo palmo corrisponde al primo  quintale, successivamente ogni quattro dita sono un altro quintale. (Esempio: l’altezza del cantile  misurato con il manico della pala corrisponde a un palmo e  sedici dita; la resa del cantile è di cinque quintali di lenticchia.) Per segnare e ricordare quanti quintali ha reso un campo si usava prendere un bastoncino di salvastrello e con il coltello si facevano tante tacche quanti erano i quintali. ( quelli che si incidevano sul ramoscello di salvastrello erano i quarti che corrispondevano a Kg. 33)
Oggi la pratica della trita con i cavalli e mazzafrustu è caduta in disuso. Di rado e possibile ammirare qualche vecchio contadino intendo a questa vecchia pratica di lavoro. Per  motivi di praticità e per la carenza di manodopera si preferisce la trebbiatura con le mietitrebbia o con la trebbia a cintone, tutte e due disdegnate e odiata dai vecchi contadini.
La fase successiva si chiama conciatura” ed è affidata esclusivamente alle donne.
La conciatura si fa in cantina ed ha lo scopo di togliere gli altri semi e l’impurità dalla lenticchia. Si passa la lenticchia  con la conciajiola  delle pajie per togliere la paglia rimasta dopo la scamatura. Successivamente si passa con il corvello per togliere i semi piccoli dei sonapiei ( sono i semi dei fiori gialli che si vedono nei campi di lenticchia durante la fioritura) durante questa fase viene tolta anche la rimanenza della pula e di tutti le altre impurità. Si passa quindi al corvello della veccia. Successivamente si passa su  lu “capistiju” utensile fatto con un unico tronco di faggio  per la capatura a mano.  L’ultima fase della lavorazione della lenticchia e quella del confezionamento per l’invio alla  vendita.
Questo racconto e dedicato alle Carpirine della lenta.

a cura di:

IACOROSSI Giuseppe
Tel. 338-2035149
E-Mail testaiaco@yahoo.it

 

LA SEMINA

LA FESTA DELLA TREBBIATURA

 

 


Coop. Agricola Castelluccio di Norcia - P.I. 00540790540 - Tel. 3394921461 - Fax 0743821166 - email info@lenticchiaigpcastelluccio.it

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Emanuele Persiani